Circa 30 anni fa penso di avere sfidato per la prima volta un computer a scacchi. Era un periodo in cui c’erano ancora gli Olivetti e si usavano quasi esclusivamente per attività aziendali.
Ecco che un bambino di circa 10 anni si recava dopo l’orario di ufficio in una filiale di una nota azienda di telefonia dove lo zio era direttore.
La prima sfida contro giocatori non biologici in azione.
Non ricordo l’esito della partita, supportato da nonno e zio, ma credo il computer ci mise in crisi tutti quanti dopo un paio di mosse.
Era per me qualcosa di prodigioso e intersecava due dei miei principali interessi dell’epoca: computer e scacchi.
Quando nel 1996 mia madre mi riportò che al telegiornale annunciarono la sconfitta di Kasparov, inflittagli da Deep Blue, provai un senso di vicinanza.
Cosa c’entra questo aneddoto personale con Giocatori non biologici in azione di Cosimo Cardellicchio?
Scopriamolo insieme.
Giocatori non biologici in azione
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Autori
Cosimo Cardellicchio
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Editore
Unicopli
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Costo
15€ circa
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- 1 Giocatori non biologici in azione
Fra saggistica e narrazione
Iniziamo col dire che Giocatori non biologici in azione non è un libro sugli scacchi.
Anzi, maggior dettaglio è offerto per i giochi a informazione incompleta, attraverso giochi da tavolo “reali” e formalizzazione di esempi quotidiani.
L’autore però inizia il suo percorso proprio partendo dai giochi a informazione completa.
Inizia col presentarci il Turco, un automa che a cavallo del 700-800 doveva essere l’antenato di Deep Blue.
In realtà, come la chiameremmo oggi, si trattò di una scam: un operatore manovrava un manichino dall’interno di una scatola.
Se pensate sia una truffa ingenua e a quanto fossero fessi 3 secoli fa, fatevi oggi un giro in rete e arrossite.
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Gli scacchi? Un gioco rotto, ma…
In Giocatori non biologici in azione Cardellicchio parte dagli scacchi proprio perché è stato un gioco ampiamente studiato.
Avrei voluto promuovere questo articolo con un titolo clickbait come “Gli scacchi sono un gioco rotto”.
In effetti, secondo il teorema di Zermelo, e come spiegato nel libro, sappiamo chi sia il vincitore, Bianco o Nero, ancora prima di sederci al tavolo.
Come avviene nel gioco del tris.
O meglio, sappiamo che è già noto, ma non sappiamo chi sia.
A differenza del tris, l’elevato numero di combinazioni, o di partite se vogliamo, protegge gli scacchi dal risolverlo.
Nessuno è stato in grado di farlo fino ad oggi.
…che lo nasconde bene
Ogni volta il giocatore ha circa una trentina di mosse fra cui scegliere prima di muovere un suo pezzo.
Si aprono così davanti a lui miliardi di partite, più di quanti sono gli atomi dell’universo (paragone impressionante alla prima lettura, poco chiaro alla seconda).
Nel libro è raccontato come i programmatori hanno regolato la loro bussola per muoversi nella vastità di scenari presentati dal numero di Shannon e qual è la logica con cui lo fanno.
Interessante il modo in cui l’autore alterna narrazione, aneddotica e concetti cicciosi e concreti.
Così, anche con degli esempi, un concetto che vi garantisco non è banale, visto che lo lavoro professionalmente, viene spiegato anche a chi non ha conoscenze di matematica e programmazione.
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Studi tutt’altro che teorici
Se vi chiedete perché ci sia stato tutto questo sforzo, e siano stati spesi diversi soldini nello sviluppare giocatori “non biologici”, date un’occhiata al film War Games.
Capirete anche l’interesse della RAND Corporation per queste tematiche.
Comunque la questione non si limita ad aspetti militari, come prevedere quale obiettivo sensibile sarà attaccato e di conseguenza come distribuire la copertura aerea.
La pianificazione del vostro viaggio su Google Maps trae vantaggio anche da questi studi.
Reti neurali e quella roba là
Per capire l’attualità dell’argomento pensate a TD-Gammon.
È stato il primo programma per computer a dimostrare di aver imparato dalle sue partite.
Un precursore, insomma, di quelle reti neurali che ora usiamo con lo smartphone e ulteriore prova che Cardellicchio presenta concetti che sono più applicativi di quello che si pensi.
Esempi pratici e quotidiani
Ad ogni modo l’autore non si sofferma solo su scacchi o backgammon.
Riporta infatti anche esempi della Teoria dei Giochi con esempi concreti, in modo che il lettore possa mettere in relazione quanto legge con la sua esperienza quotidiana.
Facciamo così la conoscenza di Alberto il pasticcere, Abdul l’extracomunitario e Gustavo l’opportunista.
Si parla cioè della vera e propria Teoria dei Giochi mi dà… l’alibi… per un altro aneddoto personale.
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(credits: achievements.ai)
La negoziazione. Quella vera
Nel corso della mia carriera professionale, ma anche in altre circostanze, sono venuto talvolta in contatto con corsi di negoziazione che facevano per lo più leva sulla comunicazione.
Si parla quindi di ascolto attivo e altre tattiche, oserei dire, quali la persuasione.
Ad ogni modo se guardate su LinkedIn troverete una valanga mal declinata e stucchevole di questi concetti.
Anche se capisco che portare un social a riferimento sia un colpo basso, visto che è uno strumento inflazionante qualsiasi concetto.
“Essere un leader e non un capo” è il claim più diffuso, ma ha un valore quasi assiomatico dove non sono indicate le ragioni per cui qualcuno dovrebbe… giocare “il gioco del lavoro” in quel modo.
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Forse obsoleto o limitato in certi ambiti?
Cinismo e rispetto
La mia onestà intellettuale mi porta a prediligere l’approccio suggerito rispetto quello dei “guru” della pseudoscientifica programmazione neurolinguistica (PNL).
E in Giocatori non biologici in azione, con gli equilibri di Nash e gli esempi citati in precedenza, troviamo la solidità a cui afferisco.
La Teoria dei Giochi probabilmente è più affine a chi ha una formazione scientifica e offre un vantaggio notevole: è quantitativa.
Nei suoi assiomi è onesta.
I giocatori sono tutti razionali e puntano alla massimizzazione del loro profitto, dove il concetto di profitto richiederebbe un approfondimento, che trovate discusso nel libro.
È anche rispettoso nei confronti dell’avversario, ma non perché sia etico farlo ma perché prudente assumerlo.
La nostra controparte è intelligente tanto quanto noi e sfrutta le sue informazioni, e anche la loro mancanza, al meglio.
Ragione e sentimento
Nella vita si può agire anche per fede, credenza o valori etici kantiani.
O, in maniera più prosaica, per ripicca e frustrazione, andando anche in contrasto a quello che è il proprio interesse.
Ce lo insegna il gioco dell’ultimatum che proponemmo, dopo un tentativo di gamification, ne Il Gioco del Pirata.
Qui la sensibilità del giocatore prende il sopravvento sulla ragione e le risposte al modulo Google lo hanno dimostrato.
A quel punto però siamo su un altro piano (che comunque è ad ogni modo gestibile con un approccio matematico).
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Il computer non avrebbe reagito così
(credits: agi.it)
I computer non hanno sentimenti
Tuttavia Cardellicchio sconsiglia di sperare di vincere una partita di scacchi per distrazione dell’avversario.
“Trucchi psicologici”, che riporta anche citando giochi per bambini, sono solo folklore rispetto alla robustezza di una matrice di payoff.
O anche overthinking: “io so che tu sai che io so”. Solo rumore.
Non dà questi consigli per motivi “etici” o per elevare la trattazione, ma proprio perché sono inefficaci.
Anzi suggerisce di evitare di prendere qualsiasi decisione se siamo emotivamente instabili.
Il non dove gestire questo aspetto, che definirei incluso nel metagioco, è proprio un punto di forza dei giocatori non biologici.
Non si stancano, non si esaltano, non si demotivano.
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Come conviene comportarsi?
Gli scacchi sono in estrema sintesi un wargame. Un giocatore vince e uno perde. Punto.
Tuttavia la maggior parte di negoziazioni, o giochi che nella vita reale e quotidiana ci troviamo ad affrontare, sono più complessi.
Il Dilemma del Prigioniero, proposto da noi come lettura natalizia anni fa, è una rappresentazione di un conflitto o, ripeto, gioco, che quotidianamente giochiamo.
Potremmo essere anche inconsapevoli di essere seduti a questo tavolo, anche se questo sarebbe un male.
Diverse persone e un universo di credenze
Ma che cosa accade se mettiamo un computer a giocare un gioco come il Dilemma del Prigioniero?
Soprattutto se non lo gioca una volta sola, ma iterativamente, una partita dopo l’altra, sempre contro lo stesso avversario?
Chissà che cavolo uscirà fuori, chissà il computer che caspita di strategia andrà inventandosi.
Negli ultimi capitoli del libro, Cardellicchio ci parla del torneo di Axelrod.
In pratica codificò programmi per computer, ciascuno implementante una diversa strategia.
Se vogliamo potremmo dire anche con una diversa eticità.
Queste diverse Intelligenze artificiali, diremmo oggi, si sono scontrate tra loro in un torneo dove il Dilemma del Prigioniero era giocato un certo numero di round per incontro.
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Essere brave persone conviene: è dimostrato
Chi ha vinto?
La strategia vincente era una Tit-for-Tat, od occhio per occhio se preferite.
Comunque, quale che sia poi in realtà la sfumatura della strategia, i giocatori virtuali con un buon piazzamento avevano caratteristiche comuni.
Axelrod scoprì infatti che al giocatore conviene essere nice (buono, corretto), ovvero non deve essere mai il primo a provare a fregare l’avversario.
Non deve neppure essere invidioso: il suo scopo è massimizzare il suo profitto, non essere migliore del suo avversario.
Ma c’è un limite a tutto
La “trattativa per vincere”, retaggio degli anni 80, è ormai superata e aspettiamo che un meteorite faccia estinguere chi ha ancora la adotta, permettendo così una più serena evoluzione della specie umana.
Questo non vuole dire che il giocatore debba essere un bamboccione, ma deve invece reagire quando è tradito.
Ma allo stesso modo deve essere pronto a perdonare quando l’avversario torna a più miti consigli.
La Teoria dei Giochi, attraverso un’analisi, quantitativa e cinica, dimostra che “comportarsi bene”, o mostrare un comportamento per così dire etico, è alla base di una strategia vincente.
Axelrod dimostra che una strategia vincente è onesta, in barba al metagioco delle emozioni della PNL.
Tutto questo, tra l’altro, senza citare Pascal.
Ed è per questo che amo la Teoria dei Giochi.
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Ma dove sono i giochi da tavolo?
E i giochi da tavolo? Se frequentate queste pagine “solo” per questa o quella scatola, probabilmente non siete nemmeno arrivati a leggere questa riga.
Se al contrario siete ancora con me, sappiate invece che leggende del game design, e non è qui un termine magniloquente, come Parlett e Randolph, hanno sfruttato parte di quello che trovate in Giocatori non biologici in azione nelle loro opere.
GOPS, nonostante abbia elementi totalmente diversi degli scacchi, ha impegnato diversi matematici nella sua risoluzione. Parte della sua logica Parlett l’ha introdotta in Asterix.
Chi invece ha giocato Puerto Banana troverà nel problema dell’asta per un dollaro e del taglio di Hofstadter un sacco di punti in comune.
Sono problemi con twist degni di Knizia, che non per niente vanta un dottorato in matematica.
E il bluff funziona solo con i principianti.
Maestri, e AI, ignorano il teatro.
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In conclusione
Da qualche anno mi interesso alla Teoria dei Giochi, in senso stretto. Abbastanza amatorialmente e in modo del tuo autodidattico.
Il problema dei libri in materia è che si dividono in due grandi famiglie.
La famiglia “fuffa” è da evitare come la peste. Pagine e pagine inconclusive che mitizzano certi aspetti, come il numero di Shannon, senza un concreto passaggio di informazioni al lettore.
Altri libri, di pregio, richiedono competenze matematiche non banali. Ne trovate alcuni citati nella bibliografia di Giocatori non biologici in Azione, nel caso voleste andare oltre.
Alcuni li ho letti ma siamo al pari di preparare un esame universitario (che potrebbe anche non essere un problema).
Giochi là dove non ce lo aspetteremmo
Cardellicchio riesce invece a porre il suo lavoro esattamente a metà.
Il concetto di base del capitolo arriva a qualsiasi lettore attraverso la narrazione ed esempi.
I casi proposti sono di varia natura e non avreste mai sospettato che definire chi sia il migliore tra Baggio, Rivera e Paolo Rossi coinvolga una dinamica non banale sulle decisioni collettive.
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Differenza fra strategia e tattica
Penso che sia il contesto dove abbia trovato la migliore spiegazione della differenza tra approccio tattico e approccio strategico.
Generalmente mi sono sempre beccato o l’esempio di Rommel con l’Afrikakorps o altre spiegazioni che avevano difficoltà a uscire dalle loro torri di avorio.
Ho così scoperto che sono una pippa con gli scacchi. Riesco a mala pena ad essere un decente tattico mentre cerco di fregare un pedone all’avversario nel turno successivo.
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Scendete in profondità quando preferite
Certo, per un excursus sulla programmazione lineare e la sua applicazione al ponte aereo di Berlino, come esempio, è richiesto un maggior sforzo da parte del lettore.
Ma anche editorialmente questi concetti sono ben separati e lasciati a chi davvero è in cerca di un approfondimento in tal senso.
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(come Giocatori non biologici in azione dimostra)
Ora sta a te giocare
La prossima volta che affronterai una trattativa, pianificherai una strategia aziendale o persino deciderai chi deve lavare i piatti o che film vedere al cinema, chiediti: cosa farebbe un giocatore non biologico?
Prova ad applicare un approccio ‘Axelrodiano’: sii corretto, reagisci alle provocazioni, ma sii pronto a perdonare. Poi raccontaci com’è andata.
Se vuoi allenarti, sfida l’AI di Volpe Giocosa al Dilemma del Prigioniero (beta) e scopri se la gentilezza batte il cinismo.
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